Uccidere per colpa di un carillon Il racconto dello scrittore orologiaio
29 novembre 2019 | 15:40
Non mi guardi così, commissario. Quel che è fatto è fatto e non si torna indietro. Questo è l’inganno del tempo. Si deve sempre guardare in avanti. Lei vuole da me una confessione. La sua freddezza non mi spaventa. Catalogherà questo omicidio sotto «delitto passionale». Invece sa cosa le propongo? Abbia il coraggio di coniare una nuova cartella. Scriva: «Marlene ha ucciso per amore». Amavo la mia vittima. Sì, la chiamo anche io così. Sono ore che mi chiede cosa realmente sia successo con Alfredo. Il fatto è che non lo nomina mai. Lo chiama «la vittima». Ed è così che è stato, è così che è andata. Lui era la vittima. Del mio sporco gioco con Carlotta. Se le dicessi che Carlotta è innocente, come lei sostiene, mentirei prima di tutto a me stessa.
Questa storia è iniziata quando eravamo piccoli tutti e tre. Carlotta era innamorata di Alfredo. E anche io. A quei tempi l’amore si scriveva sui bigliettini e si faceva una crocetta: vuoi stare con me? Sì o no. Quanto era semplice. Carlotta era più scaltra e mandò il bigliettino ad Alfredo prima di me. Lo fece durante la verifica di matematica. Lui scelse il sì e io lasciai in bianco il compito in classe. Quando la competizione tra femmine si accende, tutto il resto sembra perdere importanza. Non mi andava che fossero insieme. Che poi, a quell’età, non voleva dire nulla, solo tenersi per mano nel cortile della scuola. Ma ricordo come fosse ieri la festa di compleanno di Alfredo. Il loro lento davanti alle mamme che filmavano la scena. Dalla gelosia, scavai con le unghie i palmi delle mani. Alle superiori, Carlotta ebbe una fase dark. Iniziò a tingersi i capelli di nero, ad andare in giro tutta borchie e piercing, e Alfredo, con le sue camicie sempre ben stirate, stonava accanto a lei. Fu così che si lasciarono e io non persi occasione per mettermi con lui. In fondo, mi confidò Alfredo, era quello che aveva sempre voluto. Un po’ di tranquillità, con una ragazza normale. Non mi sembrò un gran complimento, ma fui comunque contenta.
Tutto capitombolò due anni dopo, a Capodanno. Non sospettavo niente, allora. Quando vidi Carlotta con Alfredo, appartati in veranda, pensai che fosse tutto tranquillo. La mia migliore amica e il mio ragazzo che parlavano insieme. Cosa c’era di male? Li raggiunsi, allegra e forse ingenua, e mi bloccai sulla soglia. Carlotta aveva regalato un carillon ad Alfredo. Uno di quelli coi ballerini che volteggiano sullo specchio. La musica era il valzer di Strauss. Adatto all’occasione, mi venne da pensare. Prima che potessi intervenire, si baciarono. Cacciai un urlo. Il carillon si inceppò, come se avesse percepito il mio dolore. In qualche modo riuscii a perdonare entrambi. Quando Alfredo e io ci sposammo, la scelsi pure come testimone. Ma dentro di me, un ingranaggio si era difettato. Iniziai a diventare sospettosa. Controllavo le sue chiamate, mi appostavo all’uscita del campo da tennis dove giocava, gli facevo le improvvisate al lavoro. La ragazza normale divenne una patetica spia del proprio marito. Poi, un giorno, comparve quell’orologio. Annoti bene il nome, commissario, è importante. Era un Royal Oak del 2010, il più piccolo orologio da polso, con la funzione del carillon e con calendario perpetuo a carica automatica più sottile al mondo.
tolse l’orologio, una sera, e io lo nascosi sotto il cuscino. Lo portava sempre, non se ne dimenticava mai. Dormii con il tic tac del mio cuore impazzito e con le lancette che stavano per segnare la mia decisione. Al mattino, lo vidi inquieto perché l’orologio non era sul comodino. «Stai cercando questo?» «Dammelo» mi pregò. «Prima dimmi chi te lo ha regalato.» «Te l’ho detto mille volte, l’ho comprato io.» Mentre lottava per riprendersi l’orologio, schiacciai inavvertitamente un tasto. Partì la musica di Strauss. Fu allora che capii. Lo sa, commissario? Nel momento di più alta sofferenza, si diventa freddi e calcolatori come non mai. Gli rimisi l’orologio al polso, e gli chiesi di ballare. Lo strinsi a me l’ultima volta. Il carillon di legno era sopra il mobile a specchio, davanti a noi. Alfredo l’aveva fatto montare su un piedistallo di ferro. Allungai la mano e glielo sbattei in testa. Il resto lo sa. I ballerini si ruppero. Lui, si ruppe in mille pezzi. L’ingranaggio nella mia testa riprese a funzionare correttamente. Quindi non mi appellerò alla capacità di intendere e volere. Ero lucida come non mai, quando lo uccisi. Scriva che l’ho fatto per amore. Perché in quei maledetti fogli non dite mai la verità. E aggiunga anche questo. Carlotta sarà stata anche la prima, ma l’ultimo ballo con Alfredo, l’ho avuto io.